“Quando domina la nostalgia il tempo si ferma, le comunità si chiudono, l’innovazione arretra.
    Dove invece cresce la fiducia, fioriscono imprese, creatività, nuove forme di vita e di sviluppo”. E’ la tesi di ‘Il futuro ad alta quota: un nuovo sguardo sulle montagne italiane tra fiducia, nostalgia e sviluppo’, il nuovo libro di Andrea Ferrazzi, direttore di Confindustria Belluno Dolomiti, in uscita a inizio gennaio per Rubbettino Editore.
    Il volume parte da una frattura culturale decisiva: quella tra territori della fiducia e territori della nostalgia. Una divisione meno evidente delle mappe amministrative, ma molto più influente sul futuro del Paese. Ferrazzi, da anni impegnato a favore dello sviluppo delle Terre Alte, ribalta molti luoghi comuni: le montagne e le aree interne non vengono descritte come periferie condannate al declino, ma come laboratori di futuro, capaci di attrarre giovani, talenti, imprese e nuove idee. Un futuro possibile, purché si scelga un diverso clima culturale: meno ripiegato sul passato, più orientato alla costruzione.
    L’autore intreccia dati, analisi e storie per mostrare che il destino dei territori non è scritto. È una questione di fiducia collettiva, di energia sociale, di apertura al nuovo. Una visione che parla non solo alle montagne, ma all’intero Paese.
    Il libro diventa così un invito ad amministratori, imprese e comunità: non rassegnarsi, e considerare le aree interne non più come margini, ma come avanguardie dello sviluppo italiano.
    Il libro si muove con due strumenti: la ricerca empirica e la narrativa del possibile. Da un lato i numeri sullo spopolamento, sulle aree interne, sulle traiettorie di lungo periodo.
    Dall’altro, un racconto che ribalta il cliché del “bel posto per le vacanze, pessimo per viverci”. Il vero motore del divario, suggerisce l’autore, non è l’altitudine, ma l’attitudine. Non il dove, ma il come. È qui che la formula “territori della fiducia” trova potenza interpretativa. Perché rimette al centro le comunità e la loro capacità di generare energia sociale. Di attrarre giovani, idee, investimenti. Di diventare ecosistemi dove il futuro non è un intruso ma un ospite atteso. Esattamente l’opposto di quei “territori della nostalgia” che vivono guardando nello specchietto retrovisore, convinti che la modernità sia un incidente e non una possibilità.
    La tesi centrale è chiara: la montagna italiana ha ancora una chance, ma solo se sceglie la fiducia come infrastruttura culturale.
   

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