L’Avvocatura generale dello Stato ha impugnato in tempi rapidissimi la sentenza del tribunale civile di Roma che ha deciso un risarcimento di 82.000 euro in capo alla Repubblica federale tedesca, ai figli di Dino Pozzato, internato in campi di concentramento in Germania e Austria tra il settembre 1943 e il giugno 1945, riconoscendo i crimini di guerra subiti. “Hanno già fatto appello, terribile”, è il commento dell’avvocato Fabio Anselmo che difende i famigliari del soldato, originario della provincia di Rovigo, deportato per 632 giorni dopo l’Armistizio in lager come Wiener Neudorf, sottocampo di Mauthausen, Stalag VIII e Holzhausen.
    Pozzato non si riprese mai dalle sofferenze della prigionia, con conseguenze fisiche (tornò a casa in bicicletta dalla Germania e pesava 35 chili) e psicologiche: il 22 aprile 1982 si tolse la vita. E’ stato insignito delle croci al merito di guerra da parte del comando distretto militare di Padova.
    L’atto di appello è stato notificato lo stesso giorno di pubblicazione della sentenza, il 27 novembre, alle 20.28.
    L’udienza è fissata per il 20 novembre 2027.
    L’Avvocatura contesta la sentenza di primo grado su più punti, a partire dalla qualità di eredi dei due figli, e poi la prescrizione, fino a sostenere che la condotta tenuta dai militari del Terzo Reich nei confronti di Pozzato non costituisce crimine di guerra o contro l’umanità.
    Il tribunale aveva definito circostanza ormai storicamente acquisita che le condizioni giuridiche e reali degli internati fossero disumane e comunque tali da violare gravemente le previsioni delle convenzioni sul trattamento dei prigionieri, tanto da indurre gli storici a individuarli con l’appellativo di “schiavi militari”. Per l’atto di appello, tra l’altro, non può desumersi che lo status di “prigioniero di guerra” comporti di per sé solo la sottoposizione del militare internato a trattamenti integranti crimini di guerra, né tale automatismo comporta un “fatto notorio”.
   

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