“Un approfondimento inedito sul rapporto vitale dell’artista con la creta, materiale che accompagnò il suo percorso creativo per tutto l’arco della vita”. Karole P. B. Vail, direttrice della Collezione Peggy Guggenheim, a Venezia, inquadra così la mostra che esplora il rapporto di Lucio Fontana (1899-1968) con la ceramica.
    L’esposizione, intitolata ‘Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana’, a cura di Sharon Hecker, dall’11 ottobre al 2 marzo prossimi (catalogo Marsilio Arte), scandaglia, attraverso una settantina di opere, il rapporto con una materia e una tecnica diversa da quella che l’avrebbe poi reso celebre, avviato dall’artista a partire dalla seconda metà degli anni Venti.
    “Questa mostra – rileva la curatrice – svela un lato più intimo e tattile di Fontana, nato da un legame profondo e duraturo con una materia umile con l’argilla, un lato che va oltre la figura iconica ed eroica conosciuta per i suoi tagli e gesti audaci”.
    Seguendo un filo cronologico – a partire da una ballerina di charleston dipinta in nero lucido realizzata in gesso nel 1926 ma descritta dall’artista come la sua prima ceramica – e tematico, attraverso undici sale il visitatore è portato a scoprire una produzione di fatto poco conosciuta, ma essenziale per inquadrare appieno la complessità e le novità sperimentali del lavoro di Fontana.
    Ne emerge un artista policrome, dall’ampia varietà di soggetti, che appare in qualche modo diverso dall’atto minimale, severo ma deciso dei tagli, cifra degli anni cinquanta e sessanta, come indica ad esempio la sala dedicata agli anni Trenta popolata da coccodrilli, granchi, cavalli marini, conchiglie, farfalle dai colori lucenti degli smalti.
    L’avvio della produzione ad Albisola che durerà, con una pausa durante la guerra, oltre vent’anni. E quasi sentisse la storia, i lavori della fine di quello stesso decennio sembrano più cupi, segnati probabilmente anche da un ripensamento critico delle retoriche fasciste (Torso Italico del 1938). Lavori che anticipano la scelta dell’artista di fare ritorno in Argentina, dove era nato dopo il trasferimento del padre oltre Oceano e da dove era partito ragazzino quasi.
    E’ un allontanarsi per lui dall’imminente scoppio di una nuova guerra mondiale dopo che aveva vissuto in modo traumatico la prima guerra mondiale sul Carso da “ragazzo del ’99”.
    Poi, a fine conflitto. il ritorno in Italia, le ceramiche che danno vita a figure familiari, il via alle nuove sperimentazioni, gli splendidi crocifissi – dove la figura di Cristo sembra fondersi con la croce – le commissioni per il nascente design e i privati nell’epoca del boom economico, fino ai Concetti Spaziali che sono parte delle ultime fasi della ricerca, della sperimentazione artistica di Fontana.
    “La mostra – sottolinea la curatrice – mette in risalto la forza materica della creta, liscia, ruvida, incisa, grezza, dipinta, smaltata, tagliata, bucata e l’innovativa capacità di Fontana di intrecciare i linguaggi dell’arte e dell’artigianato, del design e della manualità”. Ad accompagnare il visitatore anche un cortometraggio inedito, Le ceramiche di Lucio Fontana a Milano, realizzato dal regista argentino Felipe Sanguinetti.
   
   

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